Il nostro vivere quotidiano è circondato di prodotti e idee, di brevetti scaduti e non, di cui spesso ignoriamo la loro storia. Qui vi raccontiamo come e perché sono nati i brevetti, e quando!
La storia del genere umano è una storia di applicazione dell’immaginazione o di innovazione di una conoscenza di base già esistente, al fine di risolvere eventuali problemi. È stata l’immaginazione dei creatori ad avere permesso all’umanità di arrivare agli odierni livelli di progresso tecnologico.
La proprietà industriale è tangibile, nella nostra vita quotidiana.
Malgrado la tecnologia pervada la società moderna, in realtà solo in pochi realizzano come la nostra esistenza sia circondata da prodotti e idee sui quali l’IP genera ogni tipo di diritto legale e resta un termine sconosciuto o frainteso.
Pochi semplici esempi: i brevetti, scaduti e non, sono onnipresenti nella nostra vita e riguardano prodotti come quelli relativi all’illuminazione elettrica (Brevetti di Edison e Swan), alle materie plastiche (Brevetto di Baekeland), alle penne a sfera (Brevetti di Biro), al velcro (Brevetto di Mestral) e ai microprocessori (Brevetti della Intel) e tanti altri.
Bisogna riconoscere che la loro importanza storica risiede principalmente nell’essere uno specchio dei processi innovativi, delle tensioni culturali, ma anche dello stesso contesto sociale che li ha visti nascere.
Quale paese se non l’Italia, paese di grandi geni, creatori e inventori, può vantare la prima fase strutturale dei brevetti?
Quando nasce il Brevetto
Dallo studio delle fonti antiche, si apprende infatti, che il primo monopolio per una creazione originale dell’ingegno umano, fu concesso nell’antica città calabrese di Sibari. Nella città Jonica, infatti, nel VII sec. a. C. fu ufficializzato il diritto allo sfruttamento esclusivo di una invenzione, per la precisione una ricetta.
Nella colonia magno greca, scriveva Filarco, fu concesso un monopolio di 12 mesi per una pietanza originale ed elaborata affinché
“a chi per primo l’abbia inventata sia riservato trarne profitto durante il suddetto periodo e gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere”.
La conferma di quanto riportato dallo storico emerge da una lapide ritrovata nell’area archeologica sulla quale si legge come a Sibari:
“veniva offerto un incoraggiamento a tutti coloro che realizzano un qualsiasi miglioramento al benessere, i relativi guadagni essendo assicurati all’inventore per un anno”.
Importante è pure il livello inventivo: la parola elaborato tradisce il concetto che non deve trattarsi di una banale derivazione da ricette già note o di semplici cose alla portata di tutti; ci dev’essere un quid di inventivo sia nella proposizione degli ingredienti, sia nel procedimento di esecuzione della ricetta (novità intrinseca).
La legge teneva in conto anche l’esclusività e la durata: il beneficio era limitato a un solo anno, trascorso il quale, chiunque poteva utilizzare la ricetta. Dalla concessione di questa esclusività temporanea, ne conseguiva quindi un beneficio pubblico.
Altro fattore di cui la legge teneva conto era l’incentivazione: è interessante notare come la concessione del beneficio a favore del progresso, diremmo tecnico, finisce per diventare vantaggio collettivo:
“affinché gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere”.
Ai giorni nostri, in tempi di startup e innovazione, questi concetti risuonano di una modernità sorprendente.
In generale, si tratta di privilegi concessi dall’autorità locale a singoli individui per premiarli e incoraggiare sia loro che gli altri a proporre soluzioni ingegnose.
La storia dei brevetti nel nostro Paese è complessa, e vanta nobili origini. Nel 1421, ad esempio, venne concesso il brevetto al celebre architetto e ingegnere Filippo Brunelleschi per un barcone anfibio, detta chiatta, adibito al trasporto del marmo sull’Arno destinato alla costruzione del Duomo di Firenze.
Il 19 marzo 1474, nella Repubblica di Venezia, venne promulgato lo Statuto dei brevetti, accompagnato da queste parole:
“Abbiamo fra noi uomini di grande ingegno, atti ad inventare e scoprire dispositivi ingegnosi: ed è in vista della grandezza e della virtù della nostra città che cercheremo di far arrivare qui sempre più uomini di tale specie ogni giorno.”
Storicamente, l’istituto del brevetto, si basa su un’impostazione di scambio tra l’autorità dello Stato e l’inventore. La tutela legale che l’amministrazione pubblica offre all’inventore, in cambio della rivelazione della propria invenzione, conseguente alla descrizione scritta dell’invenzione e alla sua registrazione in un Pubblico registro, che dà luogo a un brevetto d’invenzione, è sempre di natura esclusiva (jus excludendi alios); è limitata nel tempo.
La legge veneziana del 1474 assegna all’Italia l’assoluto primato mondiale di regolamentazione legale erga omnes dei diritti di proprietà industriale (IPRs, Intellectual Property Rights).
Nel corso della storia poi, la legge sulle ‘privative per invenzioni o scoperte industriali’, siglata da Camillo Benso conte di Cavour e da Urbano Rattazzi, costituisce la prima vera formulazione di legislazione brevettuale in chiave moderna.
In questa disposizione erano anche previsti i mandatari, cioè i consulenti in proprietà industriale ed era consentito anche agli stranieri, di depositare privative industriali.
I Brevetti negli Stati Uniti: altra storia e concezione
La legislazione del brevetto, dai lontani tempi dell’Indipendenza fino al “Patent Act” del 1790, era un sistema di esame rigido, mediante il quale tutte le domande di brevetto dovevano essere esaminate da un comitato formato da membri di tre Ministeri.
Il primo brevetto americano (US patent) porta la firma di George Washington, ed è per una invenzione chimica relativa alla produzione di carbonato di potassio.
Thomas Jefferson, lui stesso un inventore, quando era Segretario di Stato, si occupò attivamente dell’esame e della concessione di brevetti americani e soltanto Albert Einstein (esaminatore dell’ufficio brevetti svizzero) può vantare una simile esperienza.
Il congresso nell’anno 1802, creò lo United States Patent and Trademark Office (USpto or Office) denominato “Patent Office”, con il compito di concedere i brevetti per conto del Governo.
Il nome USpto (che amministra le leggi brevettuali per quanto concerne la concessione di brevetti per invenzioni) gli venne attribuito solo nel 2000.
Brevetti, differenza tra sistema europeo e americano: First to file vs First to invent
Gli Usa sono l’unico Paese al mondo in cui, per stabilire la precedenza fra due inventori della medesima invenzione, non si applica il fatto “chi dei due ha depositato per primo la domanda di brevetto” (resto del mondo), bensì “chi ha inventato per primo”.
Il diritto al brevetto spetta negli Usa solo all’inventore e non, nel caso di lavoratori dipendenti, al datore di lavoro. Questa norma, risalente alla nascita della legge brevettuale nel Settecento, prevede il trasferimento del diritto “assignment” da parte dell’inventore al datore di lavoro, generalmente mediante un contratto che stabilisce un compenso simbolico di 1 dollaro.
È rimasta famosa l’affermazione di un giudice americano in una sentenza in cui specificò che “tutto ciò che è prodotto dall’uomo è brevettabile!”
Perché brevettare un prodotto?
Il brevetto resta un formidabile strumento commerciale per le imprese, in quanto consente loro di distinguersi sul mercato, di proteggere i loro prodotti nei confronti di terzi, di essere unici e protagonisti, di sfruttare il mercato e gestire le proprie risorse economiche, in Italia e nel resto del mondo.
Non è questo quello che un imprenditore oggigiorno vuole ottenere dai suoi investimenti e dalla propria azienda? Un asset da proteggere costituito per la maggior parte da diritti di proprietà industriale.
Una protezione brevettuale forte, programmata e studiata con i propri consulenti in teamwork, può impedire ai concorrenti di entrare nel mercato di proprio interesse, di diventare in questo modo “untouchable” e di valorizzare al massimo i prodotti della propria azienda.
Inoltre, un buon portafoglio IP deve essere percepito dai partner commerciali, dagli investitori, dagli azionisti, dai clienti, dalle banche, come una dimostrazione dell’alto livello di qualità, specializzazione e capacità tecnologica dell’azienda, in grado di elevarne l’immagine positiva.
L’azienda, con la concessione di licenze d’uso, royalties e la stipula di accordi con altre aziende per l’uso incrociato di più brevetti, in Italia e all’estero, assume più valore e trae anche dei vantaggi economici, ottenendo così più profitti per poi, eventualmente, reinvestirli nella Ricerca e Sviluppo e nello studio di nuove tecnologie, tese a ottenere un asset rigoroso e stabile di risorse finanziarie integrative in sede di produzione e commercializzazione dei propri prodotti.
In alcuni settori, come ad esempio quello delle biotecnologie, disporre di un importante portafoglio di brevetti, può attirare investitori pronti a finanziare nuovi progetti per poi commercializzarli.
Concludendo, un portafoglio IP ben strutturato, grazie anche alla consulenza di uno studio di professionisti specializzati e preparati nella materia, permette un concreto arricchimento dell’azienda stessa e accresce la sua posizione di forza sul mercato.